venerdì 22 gennaio 2010

Cellaris, di Zimisce

Strahlungen III.
Parigi, 6 marzo 1942
(...) A mezzogiorno da Prunier con Mossakowski, che a suo tempo è stato collaboratore di Cellaris. A quel che lui dice, nei grandi mattatoi istituiti nei paesi del confine orientale ci sono macellai, che hanno ammazzato con le proprie mani tanta gente quanti sono gli abitanti di una città di media grandezza. Basta una di queste notizie per smorzare la luce di un giorno. Si è tentati di chiudere gli occhi di fronte a esse. Invece è bene esaminare attentamente come un medico che osservi una ferita. Sono i sintomi dell'immenso focolaio che si dovrebbe guarire e io credo guaribile.
Se non avessi questa fiducia, andrei immediatamente
ad patres, all'aria pura, fuori di questo mare di fango. Spesso la morte, in mezzo a questo formicolio di lèmuri e di anfibi, mi sembra una festa.

E' in questo passo del marzo '42, alle soglie dell'orrore della Soluzione Finale, che Jünger cita per la prima volta nei suoi diari il nome di Cellaris, ovvero Ernst Niekisch. Maestro di quella congrega di pazzi che si autodefinivano nazionalbolscevichi, Niekisch era proprio il tipo di Jünger. Di provenienza politica socialista rivoluzionaria, Cellaris fu presidente del Comitato centrale della repubblica sovietica di Monaco nel 1919. In seguito a quell'esperienza si allontanò dall'Spd per fondare la rivista Der Wiederstand (La Resistenza) dalla quale predicava idee singolari: secondo Niekisch l'unica possibilità di liberazione per la Germania consisteva nella creazione di un "socialismo prussiano", che fondesse in sé il militarismo teutonico degli Junker al totalitarismo collettivista della Russia bolscevica. Ed è proprio nell'Unione Sovietica che Niekisch identificava l'alleato ideale della Germania nazionalbolscevica, tanto che le due avrebbero dovuto formare un blocco germano-slavo eurasiatico che avrebbe dovuto preservare le genti d'Europa dalle nefaste conseguenze della visione economica del mondo, come il liberalismo e la democrazia. Questo, in sintesi, è il succo del nazionalbolscevismo.
Capirete anche voi che, con idee così, quello schizzato del giovane Jünger e il professor Niekisch non potevano che andare d'accordo. E non è un caso se furono praticamente soltanto i nazionalbolscevichi a plaudire la pubblicazione di Der Arbeiter, nel 1932. L'influenza del pensiero di Niekisch sull'opera jüngeriana del periodo non va sottovalutata, anche perché tra i due si sviluppò una forte amicizia. Un rapporto la cui intensità traspare nelle pagine di Irradiazioni, dove spesso lo scrittore ricorda il compagno di lotte, a quel tempo malato e incarcerato dagli aguzzini del Terzo Reich a causa della sua opposizione al regime hitleriano, considerato da Niekisch una rovina per la Germania.
Scrive Jünger il 14 aprile del '43:

Visita del pittore Hohly. Mi ha portato i saluti della moglie di Cellaris e mi ha detto che questi, nonostante la sua grave malattia, è assai vivo spiritualmente. Si può sperare, così, che possa, ancora, vedere la luce.

Una settimana più tardi è ancora una volta la visita di un vecchio amico, tale Toepfer, a riportare Jünger alla memoria dei tempi andati. Jünger abbozza, in due righe ma centrandolo perfettamente, il motivo del prevalere del nazionalsocialismo sugli altri movimenti rivoluzionari del tempo:

(...) Conversazione politica, poi ricordi di Cellaris e del vecchio tempo in cui militavamo tra i nazionalisti. Particolarmente rimane notevole il convegno segreto di Eichhof del 1929. La storia di questi anni con i suoi pensatori, con i suoi uomini di azione, i suoi martiri, le sue comparse deve ancora essere scritta; vivevamo allora nell'uovo del Leviatano. La scuola di Monaco, cioè la più superficiale, è poi riuscita; era, infatti, alla portata di tutti. Nelle mie lettere e nei miei appunti di allora compaiono una infinità di persone: avevano, inoltre, grandi vedute Niekisch, Hielscher, Ernst von Salomon, Kreitz e Albrecht Erich Günther, il quale è morto da poco. Gli altri o sono stati assassinati o sono emigrati o si sono disillusi; alcuni occupano oggi posti di responsabilità nell'esercito, nel controspionaggio, o nel partito. Tuttavia coloro che ancora restano sulla terra parleranno sempre volentieri di quei tempi; si viveva allora profondamente nell'"idea". Così mi immagino Robespierre ad Arras.

Dopo essersi soffermato, il 30 aprile, sul magnetismo demoniaco della figura di Niekisch, il 22 giugno 1943 Jünger torna a far visita al pittore Hohly. Argomento della discussione è, ancora una volta, il pensatore nazionalbolscevico: il passo è, secondo me, fondamentale per comprendere le aspirazioni politiche di Jünger nella sua fase totalitaria, sebbene nel momento in cui vergò queste parole egli l'avesse già superata.

Su Cellaris: il suo comportamento è considerato un potente esempio: dimostra come su questa terra la vera resistenza sia rara. Sembra che poco tempo prima del suo arresto lo avvolgesse già un'aura ammonitrice di quello che lo sovrastava. Hohly ha raccontato infatti come la sua vecchia mamma, morta proprio in quei giorni, nei vaneggiamenti dell'agonia, abbia più volte esclamato: "Ernesto, Ernesto, ma è terribile come ti perseguitano!" Così pure il dottor Strünkmann a Blankenburg, si dice, fu preso durante una conversazione con lui da una specie di crampo, durato alcuni secondi, in una specie di chiaroveggenza, e che, poi, divenuto mortalmente pallido, abbia detto: "Cellaris, io non la rivedo più. C'è qualcosa di spaventoso davanti a lei". Questo contrasta stranamente con il carattere di Cellaris del tutto pratico e legato al reale. Certo è almeno che questo uomo sarebbe potuto divenire qualcosa di significativo per la storia tedesca; avrebbe potuto incanalare le libere acque in un alveo, nel quale forza e spirito, ora separati, si sarebbero riuniti e in misura tale, che avrebbero dato luogo a una saldezza e a una inoppugnabilità infinitamente superiori. Però i demagoghi hanno promesso tutto questo molto più a buon mercato e nello stesso tempo hanno riconosciuto quanto egli fosse pericoloso. Certo è che sotto la sua egida la guerra con la Russia sarebbe stata evitata e inoltre non si sarebbe mai arrivati alle atrocità contro gli ebrei, che ci pongono contro tutto l'universo. Sarebbe venuta a mancare tutta la parte volgare, falsa, pretenziosa della faccenda, l'assurdo panoptico dei falsi idoli non avrebbe mai acquistato un significato. E sarebbe mancato alle vele delle democrazie gran parte del cosiddetto "vento di giustizia".
Se questo non è stato possibile, è colpa delle forze conservatrici, che dovevano prevedere dove le cose sarebbero andate a finire. Ugualmente la gioventù tedesca ha tradito i suoi istinti. Così erano i giovani: "forti come l'acciaio Krupp, resistenti come cuoio, veloci come levrieri"; così erano i giovani che Kniébolo (il soprannome demoniaco di Hitler ndZ) a ragione arringava come il seguito adatto a lui: cioè la stirpe che in caso di bisogno si sarebbe potuta produrre anche nella siderurgia e nelle concerie con l'aiuto dello sperma animale. Così si doveva per forza giungere all'americanizzazione, ma senza il loro "valore planetario", alla soluzione ametafisica, a una esecuzione puramente tecnica della "mobilitazione totale".

Si può osservare con un brivido come la pecca principale che Jünger attribuisce alle atrocità contro gli ebrei sia l'aver messo il mondo contro la Germania. Va anche detto, però, che in altri punti del diario lo scrittore identifica con chiarezza nell'accanimento antisemita il punto di frattura che porta la realtà alla deriva nel mare del nichilismo.
Il 2 luglio Jünger torna ancora su Cellaris, del quale giungono nuove preoccupanti:

Come sento da Kraus, Cellaris corre ora un grande pericolo. E' in atto lo "sfollamento" del carcere nel quale è detenuto e, al primo tentativo di impadronirsi di lui, si dice, gli si sarebbero posti dinanzi il direttore, il cappellano e anche i secondini. Tuttavia la protezione che questa gente può offrire a lui, vittima malata e indifesa, contro chi è così spaventosamente potente, è purtroppo minima. Il figlio dello stesso Cellaris, del resto, è in Russia, al fronte.

L'8 giugno il nostro incontra nuovamente Kraus, un esperto di balistica, e parla nuovamente di Niekisch. Il passo è interessante:

Abbiamo parlato (...) di Cellaris, che si trova ancora in carcere, per il quale però, come per moltissimi altri suoi compagni di sventura, forse suonerà presto l'ora della liberazione.

E' allo sbarco in Normandia, avvenuto due giorni prima, che Jünger si riferisce? O piuttosto alla congiura antihitleriana degli ufficiali della Wehrmacht, che il 20 luglio avrebbe portato all'attentato al Führer e per la quale Jünger stava scrivendo il manifesto politico La Pace?
La fine del conflitto vede Jünger tornare in Germania, espulso dalla Wehrmacht e affranto per la perdita del figlio Ernstel. Nell'ultima parte del diario lo scrittore parla nuovamente del vecchio amico Cellaris, il cui destino, nelle mani del regime in piena Götterdämmerung, sembra ormai segnato.

Kirchhorst, 7 gennaio 1945
Tristitia. Prima di svegliarmi ho sognato Cellaris. Penso a lui ogni giorno; che cosa non darei perché egli rivedesse ancora una volta la luce, libero spiritualmente e fisicamente, anche se la sua salute è minata per sempre.

Kirchhorst, 5 aprile 1945
L'accresciuto movimento delle strade porta di conseguenza il passaggio di diversi conoscenti: per esempio oggi un certo tenente Wollny, in cammino per il Weser. Aveva notizie di Niekisch. Si dice che sia nei piani una "liquidazione" degli ergastoli. Niekisch è riuscito a far pervenire a sua moglie una lettera nella quale le ha scritto che questa sarebbe una logica conclusione del suo destino. Tutte le sue profezie, particolarmente quella del suo scritto
Hitler, una fatalità tedesca si sarebbero avverate. Tuttavia sua moglie spera ancora che non giungerà a trucidarli. Io rifletto a questo destino sempre con un particolare senso di amarezza.

Niekisch non fu trucidato, alla fin fine. Tornò libero alla caduta del regime, ormai quasi cieco e con la salute irrimediabilmente compromessa. Partecipò con entusiasmo ai primi anni della DDR, sperando di riuscire in essa a coronare il suo sogno di un "socialismo prussiano". Fu un sogno che durò ben poco: deluso dal carattere oppressivo del regime e dalla sua sudditanza ai voleri sovietici, scappò a ovest nel 1955, dove morì dodici anni più tardi.

(ripreso dal blog Il libro di Urizen)

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    Ernst Jünger:
    http://en.wikipedia.org/wiki/Ernst_J%C3%BCnger
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