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martedì 19 gennaio 2010

Un nome per il patriottismo rivoluzionario: Albert Leo Schlageter, di Marco Bagozzi

"Il socialismo ritorna verso il pensiero antico; ma il guerrigliero della città è diventato l'operaio della grande industria e le armi sono state sostituite dalle macchine"
(Ernst Jünger)

Albert Leo Schlageter nasce in un piccolo centro della Germania meridionale nel bel mezzo della Foresta Nera, Schönau, il 12 agosto del 1894.
Cresciuto in una famiglia cattolica partecipa con ardore alla prima guerra mondiale, combattendo sul fronte francese.
La sconfitta della Patria e il ritorno nel mondo "borghese" accende nel giovane la fiamma del movimentismo politico. Milita nei Freikorps nazionalisti ed entra nel Partito nazionalsocialista.
Quando gli eserciti francese e belga invadono la regione della Ruhr (gennaio 1923) Schalgeter guida un pattuglia della Schwarze Reichsewher, che combatte contro gli invasori. La "battaglia della Ruhr", vero e proprio mito fondativo del nazionalismo rivoluzionario tedesco, coinvolge tutte le potenzialità rivoluzionarie tedesche, dal partito nazionalsocialista alle milizie comuniste: "La resistenza antifrancese nella regione diviene così un crogiolo di ideali nazionali e sociali".(1) I contatti tra nazionalisti e comunisti sono sempre più frequenti: il potere centrale teme l'asse rivoluzionario rosso-bruno che potrebbe nascere dallo scontro con i francesi. Erich Müller scrive: "I comunisti presero parte più di quanto comunemente sia risaputo (...) Persino tra le fila della Polizia e delle Forze Armate vi furono allora diffuse simpatie per il KPD; addirittura si parla di una parte dello Stato Maggiore, che si sarebbe messa a disposizione del partito. Gli ufficiali in questione formarono un nuovo Stato Maggiore ed escogitarono un piano tecnicamente assai elaborato per un putsch nazionalcomunista".(2)
Le azioni del manipolo guidato da Schlageter compie numerose azioni di sabotaggio ed è in seguito ad una di queste che il giovane è arrestato dalle forze francesi. Non sono campate in aria i sospetti che vogliono Walther Kadow come la "voce profonda" che tradì Schlageter. Il traditore sarà, di li a poco, assassinato da un gruppo vicino ai nazionalsocialisti, di cui fa parte anche Martin Bormann.
La morte di Schlageter crea uno schok tra le forze patriottiche. I nazionalsocialisti fanno del giovane un eroe. Ma è più sorprendente la posizione presa dall'Internazionale comunista, per voce del rappresentante in Germania, Karl Radek. Ricorda il "tragico destino" di questo "martire del nazionalismo" e "coraggioso soldato della controrivoluzione". Pur rammaricato del passato antibolscevico, riconosce la validità della battaglia di Schlageter, e auspica che questa diventi la battaglia di tutto il popolo tedesco: "solo se la questione tedesca diventa la questione del popolo tedesco, solo se si portano in primo piano i diritti del popolo tedesco, solo così la lotta porterà al popolo tedesco alleati attivi", il Partito Comunista e l’Unione Sovietica. Il discorso di Radek è una "chiara offerta di alleanza al nazionalismo combattentistico tedesco".(3) Le parole di Radek suscitano un importante dibattito alimentato dal Partito Comunista Tedesco e da pensatori nazionalisti, come Arthur Moeller Van Der Bruck e da Ernst von Reventlow, sulla possibilità di un'alleanza tra comunisti e nazionalisti. I nazionalisti, sottolinea Romualdi, vedrebbero di buon occhio "una mobilitazione di massa, e fosse pure di estrazione comunista (...) se avesse come fine la rivolta contro l'Intesa e le sue odiose pretese".(4)
Nel decennale del martirio di Leo Schlageter il prof. Martin Heidegger richiama la figura del soldato: "Proprio qui sostava e di qui passava Schlageter, quando era studente a Friburgo. Ma egli non potè restarvi a lungo. Doveva andare nel Baltico, doveva andare in Alta Slesia, doveva andare nella Ruhr. Non poteva evitare il suo destino, che era quello di morire della morte più grande e più dura con volontà rigorosa e cuore chiaro. Rendiamo omaggio a questo eroe e leviamo in silenzio la mano in segno di saluto".(5)

(ripreso dal blog NazionalBolscevismo)

Note
(1) Luca Lionello Rimbotti, Il nazionalbolscevismo all'appuntamento di Weimar, Trasgressioni, n. 12, maggio-agosto 1990.
(2) Erich Müller, "Nazionalbolscevismo", in Aa.Vv., Nazionalcomunismo, Societa Editrice Barbarossa, 1996.
(3) Ibid.
(4) Adriano Romualdi, Correnti politiche ed ideologiche della destra tedesca, L'Italiano, 1981.
(5) Citato in Maurizio Rossi, Dalle tempeste d’acciaio ai proscritti, Raido, Roma, 2007.

lunedì 11 gennaio 2010

Il nazional-bolscevismo nella Repubblica di Weimar: l’Utopia del popolo sconfitta dalle masse, di Marco Bagozzi

Parlando di utopie novecentesche non si può non fare accenno alla più radicale tra le forme rivoluzionarie, che si sono opposte al sistema liberal-capitalista: il nazional-bolscevismo, così come fu concepito durante il periodo della Repubblica di Weimar.
Perché il nazional-bolscevismo fu utopia e perché fu la più radicale tra le forme rivoluzionarie cercherò di spiegarlo in questo mio intervento.
Innanzitutto, cosa fu il nazional-bolscevismo? Fu un movimento culturale e politico (anche se non si può parlare di un partito nazional-bolscevico) che nella Germania sconfitta e umiliata della Repubblica weimariana, cercò di coniugare nella forma più radicale le tradizioni nazionalistiche e la rivoluzione socialista. Come detto, non si trovano partiti politici che si rifanno a questo ideale, ma solamente singoli intellettuali che giravano attorno ad alcune riviste e circoli politici.
"L'idea di una soluzione nazional-bolscevica si risveglia nella Repubblica di Weimar allorché l'esistenza sociale e nazionale vengono entrambe minacciate" (Mohler), questa è la sensazione dei nazional-bolscevichi, quella di una minaccia, evidente, terribile.
Ma perché questi intellettuali, alcuni di altissimo livello (come Niekisch, Schulze-Boysen, Ernst von Reventlow, Otto Strasser e per un certo periodo Ernst Jünger) cercano nel bolscevismo e nella sua soluzione nazionale la forma più opportuna per uscire dall'impasse in cui si trova la Germania?
Perché vedono nella Russia sovietica un esempio da seguire: è la Russia, mai morta, che si ribella alla pace di Versailles e all'(dis)ordine imposto dalle potenze vincitrici, che si ribella al liberalismo e al capitalismo, troppo occidentali per fare gli interessi della prussiana Germania e della slava Russia.
La visione che hanno della rivoluzione sovietica del 1917 è quella di un evento "profondamente nazionale", in cui il comunismo perde la sua carica internazionalista e riscopre l'anima profonda, messianica, tradizionale del popolo russo. Il bolscevismo, diceva Moeller Van Den Bruck, è "soltanto russo", "nazionale quasi conservatore".
La Germania, o meglio il popolo tedesco, dovevano fare come in Russia: spezzare le catene dell'oppressione capitalista, riscoprire attraverso l’impegno, la volontà, il volontarismo, la Rivoluzione il vero carattere dello "Spirito di Potsdam", quell'antico spirito prussiano, che Ernst Niekisch definisce cosi: "Questo fu il senso della Rivoluzione bolscevica: la Russia in pericolo di morte, ricorse all'idea di Potsdam, la portò sino alle estreme conseguenze, quasi oltre ogni misura, e creò questo stato assolutista di guerrieri che sottomette la stessa vita quotidiana alla disciplina militare, i cui cittadini sanno sopportare la fame quando c’è da battersi, la cui vita è tutta carica, fino all'esplosione, di volontà di resistenza". Toccava quindi alla Germania, resistere e liberarsi, unirsi alla Russia in questa enorme battaglia eterna tra Spirito e Materia, tra Oriente e Occidente.
I nazional-bolscevichi ammirano Lenin, colui che ha riscoperto lo "spirito asiatico e barbaro della Russia", ma ancora più Stalin, "l'uomo d’acciaio", l’uomo che ha liberato gli istinti virili e combattentistici del suo Popolo e che, attraverso i Piani quinquennali, ha messo in pratica quella Mobilitazione Totale, che è l'idea forte di un grande di quel tempo, Ernst Jünger. Il Piano quinquennale è un "prodigioso sforzo morale" per conquistare l’autarchia.
Il grande spazio continentale Russo-Tedesco, autarchico, totalitario, socialista è questo il sogno dei nazional-bolscevichi: un enorme stato da Vlessingen a Vladivostock.
"Si riaccenderebbe la passione per la politica e per il comando reale, e il disprezzo cadrebbe sulle forme americane ed occidentali di mercificazione della vita, che sono riuscite a trasformare persino la Chiesa in un'impresa commerciale (...). Solo una educazione prussiana della volontà, calata in un blocco slavo-germanico, potrà dargli l'elasticità dell'acciaio, la sola in grado di superare col suo ampio respiro l'educazione romana. Il suo stile di vita ordinato procederebbe all'unisono con quello russo: lo spirito dell'ordine soffierebbe dagli Urali all'Elba, per scacciare lo Spirito della democrazia al di là del Reno e delle Alpi" (Niekisch).
Durante la Repubblica di Weimar i nazional-bolscevichi chiamano alla Resistenza ed è proprio Resistenza (Wiederstand) il nome della più importante rivista a cui fanno riferimento.
Fondata nel 1926 da Ernst Niekisch il mensile uscirà fino al 1934, quando sarà chiuso dai nazisti, ma servirà da palestra di idee, da laboratorio ideale in cui si costruisce il nazional-bolscevismo tedesco. La rivista può avvalersi di collaborazioni di prestigio: i fratelli Ernst e Friedrich Georg Jünger, di August Winning, Arnolt Bronnen, Joseph E. Drexler, futuro redattore del Nürnberger Nacrichten, Gustav Sondermann, funzionario dell’associazione Alldeutscher Verband (Unione di tutti i Tedeschi), Benedikt Obermayr, che sarà collaboratore di Walther Darrè nel ministero dell’agricoltura nazionalsocialista, Hans Bäcker, Roderich von Bistram, Friedrich Gregorius, Wilfred Knöpke e gli scrittori, già appartenenti ai Corpi Franchi, Ernst Von Salomon e Franz Schauwecjer.
Fin dal primo numero la linea del mensile è evidente: "O sapremo essere rivoluzionari, oppure sprofonderemo nella palude, rinunziando definitivamente ad essere un popolo libero", così si conclude l'editoriale del direttore Ernst Niekisch. L'obiettivo della rivista è la denuncia del Patto di Versailles, del Piano Young, della sudditanza della classe dirigente tedesca rispetto agli interessi occidentali e capitalisti.
Attraverso la rivista Niekisch inizia una vasta campagna politica nel tentativo i riunire le formazioni nazionaliste e comuniste in un vasto movimento popolare.
La sua azione non avrà però un grosso successo, ma aprirà la strada a numerosi episodi di collaborazione tra nazionalisti e comunisti, già visti nelle proteste contro l'invasione francese della Ruhr del 1923, in cui si registra anche una svolta nazionalista in seno al Partito Comunista Tedesco (KPD).
Gli storici identificano ben tre "ondate" nazional-bolsceviche all’interno del Partito Comunista Tedesco.
La prima è animata dai c.d. "nazional-comunisti amburghesi": Heinrich Laufenberg e Fritz Wolffheim. Non avrà un grande peso all'interno del partito, ancora dominato da spartachisti di ortodossa militanza marxista. Si basa sull'idea che la rivoluzione socialista debba essere accompagnata da una guerra di liberazione nazionale e anti-imperialista. Si parla di un "nazionalismo proletario". Propongono la creazione di una "Wermacht rossa", un esercito popolare, con cui riprendere le armi e combattere le potenze vincitrici. Contro di loro, oltre alla quasi totalità del Comitato Centrale del KPD, si scaglierà addirittura Lenin. Schiacciati dal loro stesso partito, Wollfheim e Laufenberg uscirono dal KPD e creano alcuni movimenti minori.
La seconda ondata è la c.d. "Linea Schlageter" di cui abbiamo già fatto accenno. Leo Schlageter è un giovane militante nazionalista che i francesi fucilano dopo la condanna per un atto di sabotaggio durante l'invasione franco-belga della Ruhr. Lo choc causato dalla sua morte è fortissimo all'interno dei movimenti nazionalisti (anche nel nascente partito nazista), ma susciterà forti emozioni anche negli ambienti comunisti. Karl Radek, bolscevico russo inviato del Comintern in Germania, saprà cogliere l'attimo e davanti al CC del Comintern pronuncerà il celeberrimo discorso "Il viandante del nulla" in cui elogia Schlageter. Ricorda il "tragico destino" di questo "martire del nazionalismo" e "coraggioso soldato della controrivoluzione": "Faremo di tutto perchè uomini come Schlageter, pronti a morire per una causa comune, diventino, anziché vagabondi nel nulla, viandanti verso un futuro migliore dell'intera umanità, i quali non spargano il loro sangue, caldo e disinteressato, per i profitti dei banchieri del ferro e del carbone, ma per la causa del grande popolo lavoratore tedesco, membro della famiglia dei popoli in lotta per la libertà".
Il discorso di Radek è una chiara offerta di alleanza verso i nazionalisti. Il discorso susciterà un dibattito che coinvolgerà anche Moeller Van Der Bruck e il conte Ernst von Reventlow. Deriveranno da questo discorso anche numerose manifestazioni unitarie tra comunisti e nazionalisti, a cui il partito nazista cerca di porre fine. Nonostante l'alto livello della discussione la "linea Schlegeter" fallirà in breve tempo.
Ultima, ma forse più importante, in ordine di tempo è l'ondata con cui il KPD cerca di porre fine all'avanzata nazista, cavalcano il nazionalismo.
Nel 1930 il KPD pubblica la "Dichiarazione di liberazione sociale e nazionale del popolo tedesco", in seguito alla quale il nazional-comunismo diventa, di fatto la linea ufficiale del partito. Il KPD supera, se possibile, nel campo del nazionalismo il nazismo, tanto che giungono a proporre oltre all'unificazione di tutti i popoli tedeschi, anche l'annessione del Sud Tirolo, argomento tabù all'interno delle gerarchie naziste, a causa della vicinanza con il fascismo. Dal campo nazionalista non mancano le adesioni al KPD: da "Beppo" Römer, comandante dei Corpi Franchi, a Bruno Von Salomon, fratello dello scrittore Ernst, sino ai capi dei movimenti völkisch contadini.
La continua avanzata della NSDAP arroccherà di nuovo il KPD nell'ideologia dell'internazionalismo proletario e le tendenze nazional-bolsceviche rimarranno minoritarie e sconfitte nel partito.
Il KPD, troppo rigido sul piano dottrinale, mancherà sempre di quel pragmatismo presente a dosi massicce nel partito comunista bolscevico russo, grazie al quale giungerà al potere. Questa rigidità impedirà al KPD di coniugare l'anima social-comunista alla necessità popolare di difesa della Patria e non permette di conquistare l'anima del Popolo, in particolare dei contadini.
Diversa fu invece la sorte dei "socialisti rivoluzionari" che militavano nel partito nazional-socialista.
Il partito nazional-socialista difatti, tutt'altro dall'essere quel Leviatano totalizzante che ci viene presentato aveva al suo interno almeno tre correnti principali: quella völkisch, definibile come "decrescenista" (Darrè), quella "sviluppista" e sostanzialmente occidentalista o arianista, che vedeva di buon occhio un'alleanza con l'Inghilterra (Hitler, Göring, Himmler), e quella socialista, filo-sovietica (SA, Fratelli Strasser e fino al 1929 Goebbels).
Quest'ultima tendenza, schiacciata dopo la conquista del potere, con la "notte dei lunghi coltelli" rappresenta la più vicina al nazional-bolscevismo, in quanto si oppone alla dirigenza monacense filo-occidentale e non realmente rivoluzionaria. Questa corrente vuole dare alla parola nazional-socialismo un significato pieno: cioè Socialismo+Nazione, non fermandosi quindi al solo nazionalismo ariano pantedesco.
In particolare è Otto Strasser, fratello di Georg, uno dei più importanti dirigenti nazisti, ad animare questa corrente. Socialista fino al 1920 Otto aderisce al NSDAP in seguito al consiglio del fratello. Dirige la corrente socialista nord-tedesca, che si oppone alla deriva "latina e cristianizzante" della corrente di Monaco, creando enormi fastidi alla dirigenza nazista. Appoggia gli scioperi dei sindacati comunisti e scende in piazza con i suoi simpatizzanti e con i lavoratori che protestano. Alla sua corrente aderirà il giovane Joseph Goebbels che all'epoca scriveva: "Noi siamo socialisti, nemici, avversari giurati dell'attuale sistema economico capitalistico con il suo sfruttamento degli economicamente deboli, con la sua sperequazione dei compensi (...) Noi siamo decisi a distruggere a ogni costo questo sistema".
In seguito ad un duro contrasto con Hitler, Otto Strasser uscì dal NSDAP e fondò il Fronte Nero, movimento di opposizione alla Repubblica di Weimar, prima, e al regime nazista, poi. Il rimanente della corrente, schierato a fianco a Georg Strasser e in alcune cellule operaie delle SA e del sindacato nazional-socialista verrà schiacciato dopo la conquista del potere nella famosa Notte dei lunghi coltelli in cui ci fu la resa dei conti interna al partito.
Nonostante il nazional-bolscevismo trovò numerosi simpatizzanti fra le caste intellettuali e militari, non trovò terreno fertile presso la popolazione, ormai impegnata nella lotta "radicale" tra rossi e neri.
Il fallimento del nazional-bolscevismo è addebitabile all'incapacità di immedesimarsi nel Popolo, è mancato quello che il Presidente Mao spiegava cosi: "Prendere le idee delle masse (idee sparse e non sistematiche) e concentrarle (attraverso lo studio trasformarle in idee concentrate e sistematiche), per poi ritornare alle masse e propagandare e spiegare queste idee fino a quando le masse non le abbracceranno come proprie, le assumeranno fermamente e le trasformeranno in azione, provando in questa azione la correttezza di quelle idee". Lo spazio politico all'interno della massa popolare era ormai diviso fra KPD e NSDAP più abili nel propagandare i temi popolari e demagogici, strategici per la conquista del potere.
E quindi sta in questo passaggio l'utopia dei nazional-bolscevichi tedeschi: diventare massa, rimanendo élite. Il loro esempio era la nuova aristocrazia socialista sovietica, élite burocratica per eccellenza. Ma i nazional-bolscevichi non capirono che i capi dell'Unione Sovietica hanno percorso un lungo cammino rivoluzionario tra il popolo, tra le carceri, in esilio, prima di diventare i capi della seconda potenza industriale del mondo, non sono nati élite, sono diventati élite. I nazional-bolscevichi tedeschi si sentivano élite di "nascita", di "sangue".
Esponenti nazional-bolscevichi riconoscono esperienze simili in diversi paesi che hanno vissuto regimi comunisti o socialisti, a partire dalla Russia staliniana, secondo l'interpretazione del politologo sionista Mikhail Agursky.
Altri esempi classici sono la Cuba di Fidel Castro e la guerriglia di difesa nazionale del Vietnam, in cui si trovarono a combattere fianco a fianco il movimento comunista di Ho Chi Min e i movimenti nazionalisti. Ma più in generale si possono considerare nazional-bolscevichi la quasi totalità dei movimenti anti-colonialisti e socialisti della seconda metà del novecento. Il loro fu un nazional-bolscevico accidentale ma spontaneo, involontario ma automatico. Se rivoluzioni ci furono nel Terzo Mondo è perché le parole d'ordine non erano un vuoto internazionalismo, ma "Patria", "Difesa nazionale", legate indissolubilmente alla Giustizia sociale.
Lo storico tedesco Stefan Heffner che nel 1980 scrisse: "Per incredibile che possa sembrare il vero teorico della rivoluzione mondiale, che oggi sta in cammino, non è Marx, né tantomeno Lenin, ma Niekisch".

(Relazione al convegno: “Economia, Filosofia, Politologia ed Antropologia di fronte all’utopia del XXI secolo”, Ass. cult. Heliopolis, Trieste 19 marzo 2009)